il mitico staff di Hein Gericke

22000 km negli stivali

austria sotto la pioggia

l'officina a Graz

l'ambasciatore eolico

la catena di diego

confine slovacco

IL RIENTRO

Al confine tra Ucraina e Slovacchia c?è una coda micidiale che ci
costringe a stare fermi per due ore.
Ci intratteniamo con gli autisti slovacchi che tornano a casa dopo
lunghi giorni lontani dalle famiglie.
Sul furgone dietro di noi ci sono due ragazzi giovani coi capelli neri
corvini e le mani forti di chi è abituato al lavoro pesante.
Chiediamo informazioni sul cambio monetario, sulle condizioni della
strada e sulla possibilità di rifornirsi.
Nell?auto davanti a noi una bambina si consuma in un pianto disperato
con la madre che non riesce a spiegare questa situazione. D?altra
parte cosa ne sa una bimba di confini, controlli, traffici e via
dicendo?
Anche a noi però tutto questo suona come una follia!
Finalmente arriva il nostro turno. Ci accoglie un ufficiale col suo
volto severo di militare.
Mi avvicino e mi viene spontaneo porgergli la mano mentre mi presento.
Ovviamente lui non corrisponde e comincia con le domande di routine.
Questa volta però non ci controllano il bagaglio e quello dei
documenti è velocissimo!
Passato il confine ci troviamo davanti un cartello : ? WELCOME IN SLOVENSKO?.
Non ci colpisce tanto il contenuto quanto il fatto che sia tornato in
uso il nostro alfabeto.
Era infatti dal Pakistan che lo incontravamo sporadicamente sui
cartelli tradotti.
L?urdu, il cinese, e poi il cirillico che ci ha accompagnati in
Kirghistan, Kazakistan, Russia e Ucraina.
Quest?ultimo eravamo ormai abituati a decifrarlo però ritrovare questi
?segni? così familiari ci fa sentire a casa.
La Slovacchia è un paese piccolo, lungo circa 450 km, una distanza che
a noi ora sembra minima.
Le strade sono tenute bene e intorno c?è molta campagna. Le città sono
dei piccoli confetti, ordinate, colorate e discrete.
Sarebbe bello fermarsi ad esplorare questo paese ma purtroppo le moto
cominciano a dare qualche segno di cedimento.
La gomma davanti è completamente liscia e le pastiglie dei freni si
sono quasi completamente consumate.
Ma le preoccupazioni maggiori vengono dagli ammortizzatori ormai
scarichi e dalla catena di Diego riparata in Kazakistan e che ora non
vuole più sentire ragioni.
Non possiamo lamentarci perché le abbiamo spremute come limoni sui
monti pakistani e kirghisi per non parlare delle ?non strade? kazake.

Passiamo la notte in una locanda d?altri tempi in cui tutti ci fissano
con i loro baffoni e barboni alla Santa Claus.
Il giorno dopo la strada scappa sotto le nostre ruote e senza
accorgerci siamo a Bratislava, la capitale.
E? una città splendida ma noi siamo in cerca di un meccanico dove
poter mettere mano alla catena della moto rossa.
Riusciamo a trovare un posto dove sollevare il pesante posteriore
della moto e dove poter lavorare in pace, all?ombra.
Il proprietario ci porta una bottiglia d?acqua fresca, il dono più
grande che ci potesse fare.
Per quanto Diego tenda la catena rimane sempre gioco sulla corona
perché ormai le maglie si sono deformate. Lo sento parlare con loro
?Forza che manca poco, ci siamo quasi!?.
Poi si gira verso di me con un?espressione poco convinta.
Giriamo il centro storico ma siamo attratti da un cartello ?AUSTRIA?.
In noi ora c?è solo il desiderio del ritorno.
Riempiamo i serbatoi (perché qui la benzina costa meno) e ci portiamo
al confine.
Niente controlli qui, siamo a casa!

LA PREGHIERA VANA E L?AMBASCIATORE EOLICO

Le strade dell?Austria sono notoriamente spettacolari soprattutto per
noi motociclisti.
Ci sembra di guidare sul velluto ed è una pacchia per i mono delle ladies.
Ma la quiete è turbata da un sinistro rumore che sento anch?io quando
mi avvicino alla moto di Diego.
E? la catena!
Ogni tanto facciamo una sosta. Ora è inutile provare a tenderla ancora.
Mi ricordo quelle parole pronunciate da Diego a Bratislava, come una
sorta di preghiera.
Alla sera raggiungiamo Bruck an der Mur a 50 km da Graz.
Qui è in corso il festival internazionale degli artisti di strada.
Alloggiamo in una casa vacanza per famiglie nei pressi di un bosco.
La mattina dopo conosciamo l?ambasciatore eolico, un artista di
Trieste nominato ambasciatore dal museo della Bora.
Noi gli raccontiamo del nostro viaggio mentre lui col suo viso aperto
e sincero ci concede una breve intervista.
Ci scambiamo i reciproci ?in bocca al lupo!?.
Torniamo sulla strada ma alla prima salita la catena della moto rossa
si schianta.
Abbiamo l?ultima maglia ma è una riparazione impossibile!
Che fare? Ci mancano poche centinaia di Km per tornare a casa eppure
la catena in queste condizioni non può proprio farcela.
Decidiamo di rimettere insieme i cocci come si può e tornare a Bruck
an der Mur
Qui la sera prima abbiamo notato un concessionario della Honda,
magari potremo acquistare il kit della trasmissione, purtroppo non
hanno nulla a disposizione e il loro fornitore è a Vienna che però
dista 200 km da qui, una distanza che non possiamo percorrere
assolutamente.
Inoltre è Venerdì e qui le officine chiudono a mezzo giorno, cioè fra
20 minuti!
Facciamo l?ultima ricerca disperata a Graz dove però non ci hanno mai
risposto, forse hanno chiuso in anticipo.
Il commesso mette la telefonata in viva voce ed ogni squillo del
telefono è una stilettata nello stomaco.
Quando ogni speranza è ormai persa ?hallo? sentiamo dall?altra parte.
Incredibile, hanno il kit e il meccanico è ancora in officina e ci attenderà.
Percorriamo i 50 km che dividono le due città con il cuore in gola
trasalendo ogni volta che si sente un rumore strano o che ci si trovi
davanti una salita!
Ma per fortuna riusciamo ad arrivare al concessionario.
Il meccanico sembra un clown, alto, magro, coi pantaloni della tuta da
lavoro sostenuti dalle bretelle e corti sopra la caviglia.
Un?espressione serafica che però si turba nel vedere le nostre moto e
il percorso che hanno dovuto affrontare.
Comincia un pellegrinaggio di persone della concessionaria per vedere
le due vecchie dominator che hanno sfidato l?Asia e ne sono uscite,
tutto sommato, vincitrici. L?ufficio stampa scatta una foto dei
dirigenti coi due piloti italiani e ovviamente, davanti a tutti, le
nostre mitiche!
In mezz?ora il lavoro è fatto.
Eccoci di nuovo sulla strada ma con una marcia in più.
Non importa se ora comincia a piovere e se per ore restiamo sotto
l?acqua, perché davanti ai nostri occhi ci sono le Alpi e dietro le
montagne c?è l?Italia.


BENVENUTI IN ITALIA

Allora avanti!!
Man mano che si sale l?aria si fa più fredda e la pioggia più intensa
fino a grandinare così forte che ci dobbiamo riparare sotto la tettoia
mentre una cortina di ghiaccio ci impedisce di vedere a un metro!
Quando il ghiaccio scompare riprendiamo la marcia anche se la pioggia
non ci molla mai.
Il sole che non vediamo da ore, forse stufo di essere prevaricato
dalle nubi, decide di congedarsi.
Facciamo una sosta per bere qualcosa di caldo.
L?umidità ci penetra nelle ossa e la temperatura si è abbassata ancora.
Dobbiamo prendere una decisione.
La logica vorrebbe che ci fermassimo a dormire da qualche parte, ma
una sorta di frenesia comanda le nostre menti.
Siamo a un passo dal confine!
Riprendiamo il viaggio, col buio ci muoviamo lentamente e i fari delle
auto che incrociamo disegnano stelle di luce esplodono nelle gocce
d?acqua sulla visiera.
Un cartello indica ?BRUNICO? e dietro ad una curva un altro ?BENVENUTI
IN ITALIA? anche se noi leggiamo ?BENTORNATI RAGAZZI, CE L?AVETE
FATTA?!
Abbiamo le lacrime agli occhi dall?emozione, ma è buio, piove e non
possiamo neanche scattare una foto.
In quel momento però non ci importa più di niente, siamo carichi di
gioia e soddisfazione.
Proseguiamo per Bolzano dove l'indomani incontreremo lo staff di Hein
Gericke per un sentito ringraziamento.
Su questi tornanti italiani, così famigliari, forse per effetto del
freddo e della stanchezza mi sembra di avere un?allucinazione.
Nello specchietto c?è il sole, non so se l?alba o il tramonto, ma ha
un colore intenso, caldo e illumina un fazzoletto di terra, forse
deserto, steppa.
Ci sono delle yurte, animali che pascolano e in lontananza
sull?orizzonte un cavallo al galoppo che si avvicina.
Sul cavallo mi sembra di scorgere una figura, una donna o un ragazzino
che agita un braccio, forse un saluto.


Alberto e Diego

party al route 66

Ester Sergei e Maria

bikers di kiev

furgone di appoggio HD coreano

i fratelli proprietari del route 66 (al centro)

al route 66 kiev

monastero Pechersk Lavra

Marat e Sergei

kiev

ucraina verso kiev

Kiev

E? la capitale e la città più importante. Ospita 2,7 milioni di
abitanti ma senza contare gli immigrati che spesso non sono registrati.
Costruita sul fiume Dnepr nel V secolo fu un importante snodo
commerciale tra Costantinopoli e il nord-est europeo.
Noi arriviamo passando per la grande periferia, tra i quartieri di
nuova costruzione con immensi condomini a grattacielo e i nuovi centri
commerciali.
In lontananza sull?altra sponda del Dnepr si stagliano le cupole della
cattedrale di Santa Sofia e il monumento alla madre patria.
Il 19 Settembre del 1941 cadde in mano ai nazisti che fecero 650.000
prigionieri tra i soldati dell?armata rossa.
Nei due giorni successivi le SS uccisero senza pietà 33.771 ebrei.
La città rimase in mano tedesca fino alla riconquista da parte
dell?armata rossa il 6 Novembre del 1943.
Alla fine della guerra venne la città fu premiata per il suo eroismo.
Dopo la visita al monumento troviamo alloggio all?Hotel Ucraina che si
affaccia su piazza dell?Indipendenza, la più importante e centrale
della città.
Qui conosciamo due motociclisti russi, Marat e Sergej, diretti in
Crimea per le vacanze estive.
Abbiamo notato le reciproche moto; Sergej infatti viaggia con la
Yabusa 1300 cc. della Suzuki, mentre Marat con una Kawasaki ZRX 1200
cc. percorrendo Mosca Kjev in 6 ore, alla bella media di 180km/h!
Loro restano a bocca aperta quando scoprono il nostro itinerario.
Guardano i nostri Dominator carichi e squotono la testa con
un?espressione di meraviglia.
La nostra voglia di curiosare per la città e i loro impegni per la
sera ci spingono in direzioni diverse ma con la promessa di ritrovarsi
qui l?indomani.
La città è in festa oggi e le strade sono piene di gente mentre le
auto non possono circolare.
C?è chi si raccoglie ad ascoltare i musicisti di strada, chi si ferma
alle bancarelle per acquistare merce a basso costo o souvenir, c?è chi
mangia e chi fa lo struscio per i viali per essere notato o per
incontrare qualcuno.
Tutto intorno la città confonde il tempo mescolando gli antichi
edifici dai lineamenti quadrati con le linee impazzite
dell?architettura moderna con i suoi materiali apparentemente leggeri
che contrastano con l?imponenza del marmo e del calcestruzzo.
Il mattino seguente all?appuntamento i nostri amici russi si
presentano con Maria, una ballerina incontrata in chissà quale dei
locali che animano la vita notturna della capitale.
In programma abbiamo la visita alla cattedrale di Santa Sofia di cui
scorgiamo le 13 cupole d?oro apparire e scomparire nel saliscendi
delle colline su cui sorge la città.
La chiesa iniziata nel 1037 fu edificata per emulare lo splendore
delle cattedrali bizantine e fino al 1240 fu, per dimensioni, il
secondo del mondo cristiano.
Nel cuore del suolo su cui si erge si trovano le catacombe che
ospitano i corpi dei fondatori, i 100 corpi.
Gli abitanti sono molto credenti e fanno la fila per poter visitare i
loro antenati di cui baciano la bara come vuole il rito antichissimo
che li lega alla tradizione.
Anche Maria venera i corpi e bacia le bare.
Marat traduce le spiegazioni della nostra guida, cosa che fa
avvicinare Ester, una ragazza olandese che sta facendo un campo di
lavoro in un villaggio a circa 400 km da qui.
Sui corpi si raccontano alcune leggende come quella dei semi sterili
provenienti da Cernobyl che posti vicino alle bare sono tornati a
germogliare; o quella dei soldati Bolscevichi che volevano portarle
via dalla città ma una volta messe sui camion questi non si sarebbero
più messi in moto.
Allora ci pro vararono con dei carri trainati da cavalli che però si
sarebbero tutti imbizzarriti nello stesso momento.
Finita la visita alle catacombe ci siamo recati alle fonti d?acqua
benefica e benedetta oltre che fresca e buona.
Finita la visita i nostri amici russi ci portano al mitico Route 66 il
locale dedicato alla statale americana che attraversa gli stati uniti
coast to coast.
Qui parcheggiamo le nostre moto ancora sporche di terra kazaka tra le
Harley lucide e cromate.
Incontriamo anche la televisione ucraina che attende un gruppo di
harleysti coreani.
Ne sono partiti 20 da Seul e nonostante il camion appoggio munito di
meccanico e pezzi di ricambio ne arriveranno solo 8, eroici
motociclisti che hanno sfidato le impervie strade dell?Asia centrale
con moto adatte alle lunghissime e dritte strade americane!
Quando arrivano comincia subito la conferenza stampa alla fine della
quale veniamo chiamati anche noi per brindare con la vodka.
Comincia la festa di cui diventiamo protagonisti insieme ai colleghi coreani.
Marat si trasforma nel nostro manager e ci porta giornalisti
interessati al nostro viaggio ed a intervistarci.
Anche il proprietario del locale ci prende in simpatia.
Facciamo una gara di bevuta e balliamo tutta la sera con la musica dal
vivo di una blues band locale che va veramente forte!
Ester, la nostra nuova amica olandese, non è avvezza al mondo dei
motociclisti ed è estasiata da questo nuovo mondo tutto da scoprire,
anche se sulla moto è ancora molto rigida e spaventata.
Continua a ripeterci che non si aspettava fossimo così famosi.
La festa continua fino a notte, quando il proprietario del locale ci
porta via.
Saliamo un po? incerti sulle moto e lo seguiamo per le strade della
città fino al lungo lago.
Un posto molto intimo, una spiaggia di sabbia bianca finissima.
Da qui si vede la città illuminata che si rispecchia nelle acque
quiete del fiume.
Ci confida che quando giunse a kiev dalla regione dei carpazi lavorava
in un locale come cameriere e non avendo un posto dove dormire veniva
qui.
Il suo racconto ha reso ancora più intimo e piacevole questo angolo d?Ucraina.
L?acqua del fiume nella notte è nera ma calda e noi ci siamo spogliati
e tuffati come ci si butta sotto le coperte.
Abbiamo nuotato e ci siamo immersi nel nero più profondo senza alcun
timore perché l?acqua ci culla, ci coccola e ci unisce.
Sembra che anche il cielo si sia lanciato nel fiume e ci aggrappiamo
ad una stella come se fosse una boa.
Tornati sulla riva troviamo una chitarra ad attenderci.
Suoniamo a lungo, fino quasi all?alba.
Ma arriva sempre il momento in cui le cose finiscono e noi siamo pronti.
Salutiamo tutti e prendiamo i sacchi a pelo per dormire in quel posto
magnifico.
Ma i nostri amici russi squotono il capo ? Chi ha percorso 20.000 km
in giro per il mondo ha il diritto di dormire su un letto morbido-.
Li seguiamo fino all?Hotel Ucraina dove ci cedono la loro stanza.
Raccolgono alcune cose e se ne vanno con Maria non sappiamo dove.
Lasciano nella stanza i loro bagagli tra cui un computer e altri
oggetti di valore.
Fiducia totale.
Cerchiamo di lavare via la sabbia dal corpo e appena toccato il letto
continueremo a sognare!
Dormiamo fino a tardi e quando scendiamo a preparare le moto
incontriamo Marat e Sergej. Sono venuti a salutarci con un tempismo
degno di un indovino.
Facciamo colazione insieme guardando foto e filmati della notte magica
appena trascorsa.
Ora l?Italia ci sembra dietro l?angolo.

Alberto e Diego

la mitica cyberg chopper di vlad

la banda di biloe

samagon!!

diego e valerio

vlad!!

UKRAINA, TRA GIRASOLI E SAMAGON

Il profumo dell?erba culla il nostro riposo all?ombra della moto.
Abbiamo in mente gli occhi grigi della bella ragazza russa alla
frontiera che ci ha guardato intensamente mentre esaminava i nostri
passaporti.
I suoi lineamenti sinuosi e i capelli biondi ci ricordano queste
colline rivestite dai girasoli.
Abbiamo guidato per molte ore e le pratiche doganali richiedono molto tempo.
Adesso ci godiamo lo spettacolo del cielo terso e fluttuiamo nel vento
mentre le membra trovano riposo.
Solo la sete ci spinge più avanti in cerca di un posto dove
rinfrescare le gole secche.
Diego mi precede così come la sua fama di rabdomante, solo che ha una
particolare predilezione per la birra più che per l?acqua.
E anche questa volta non sbaglia.
Alle porte di un piccolo villaggio il suo istinto lo guida giù per una
breve discesa a lato della strada.
Sotto una tenda in PVC ci sono alcune panche e relativi tavoli.
Fuori dalla tenda un gruppetto di persone ha in mano uno di quei
bicchieri di plastica che ad occhio ha la taglia della ?media?.
Appena ci vedono ci vengono incontro curiosi.
Anche loro sono motociclisti.
Dopo poco uno si congeda per andare a prendere la sua moto e farcela vedere.
Uno alto e magro torna con la Obolon, famosa birra ucraina, anche per noi.
Si brinda ai bikers e ai viaggi.
Quello alto parla qualche parola di inglese imparata in Crimea dove ha
lavorato qualche stagione come cameriere.
Un altro lo chiamano capitan katami forse per il suo trascorso
nell?esercito o per il suo presente nella polizia. Non riusciamo a
capire bene.
Di certo c?è che tutti amano la birra e che ne hanno già bevute diverse.
Nel frattempo torna Vlad con la sua moto. Un ?cyber chopper?
autoassemblato con telaio giapponese, bicilindrico boxer russo con
trasmissione cardanica, ruota posteriore di un?automobile BMW e
cruscotto Fiat UNO???spettacolare!
E? già pomeriggio ma io e Diego abbiamo saltato il pranzo e ora i
nostri stomaci reclamano la loro parte.
Ci piacerebbe molto assaggiare i buonissimi Sishlik, spiedini di carne
di maiale e chiediamo se in paese è possibile trovarli.
Vlad accende la moto e va a fare benzina per accompagnarci. Dovremo
percorrere una decina di chilometri più a ovest. Torna con l?amico
Valerio e sulla moto sale anche Sergej, in tre sul cyber chopper!
Scegliamo un tavolo all?aperto con la vista sulle colline circostanti.
Qui si incontrano spesso miniere.
Intanto i nostri amici continuano a brindare al nostro incontro e al
nostro viaggio.
Si parla di moto e di quanto sia importante per chi viaggia incontrare
la solidarietà degli altri motociclisti ma anche di quanto si stia
facendo dura la vita, di come è difficile inseguire i propri sogni, le
proprie aspirazioni.
L?Ucraina è divisa in due dal fiume Dnepr sia geograficamente che
politicamente. Qui nella parte orientale sono filo russi mentre in
quella occidentale è più forte il desiderio di entrare nell?unione
europea.
Alle ultime elezioni ha vinto la linea filo europeista e da queste
parti il presidente Juscenko non gode di molta stima.
Un altro giorno sta finendo e vorremmo raggiungere la vicina Lugansk
per dormire.
Sergej cerca di telefonare ad un suo amico motociclista in città ma
non riesce.
E? allora che Vlad si fa avanti e ci invita a dormire a casa sua.
Non possiamo e non vogliamo rifiutare!
Torniamo a Biloe, il piccolo villaggio a 70 chilometri circa dal confine.
Vive in una cascina dove scopriamo il suo personale deposito di moto
ed auto d?epoca. Una vera e propria collezione iniziata forse dal
vecchio padre.
Lui e Valerio ci mostrano tutti i loro lavori, le ore investite nella
loro comune passione, con orgoglio e soddisfazione.
Rimaniamo a bocca aperta e non riusciamo a staccare gli occhi da
quella meraviglia.
Come vuole la tradizione tra una moto e l?altra arriva anche qualche
bicchierino di vodka. L?effetto esilarante dell?alcool si fa sentire e
Vlad esce da un garage a bordo di un vecchio motocarro che ci avvolge
in una nuvola di fumo e ci fa scoppiare in una fragorosa risata.
Per non parlare di quando si presenta col suo caschetto nero e gli
occhialini da piscina!
La moglie,Maria, una donna giunonica che lavora in una farmacia, oggi
è a casa e avvolta nel suo vestito leopardato ci prepara la cena.
A tavola compare una bottiglia di Samagon, una sorta di vodka
distillata in casa.
Al primo brindisi si scopre la verità: il prezioso liquore, di cui
Vlad rifornisce il paesino, è una vera bomba torcibudella!
Prima di buttare giù il bicchierino ci si riempie quello dell?acqua
con una bevanda dolce e scura e poi un boccone di borsh o di pelmieni
e oplà, tutto in sequenza!
La mente fluttua, siamo più sciolti e anche il russo ci è più
familiare. Riusciamo addirittura a seguire i racconti di Vlad e di
quando faceva il soldato nell?armata rossa ed era in distaccamento in
Siberia a -40°C.
Fu in quel contesto ghiacciato che incontrò sua moglie.
Da quando è tornato a casa lavora come carrozziere.
Noi dal canto nostro tiriamo fuori il computer e facciamo vedere
alcune foto del nostro viaggio.
Intanto la bottiglia di Samagon è vuota!
E? arrivato il momento di andare a letto e Vlad e sua moglie ci cedono
la loro camera da letto!
La mattina dopo quando mi sveglio non trovo nessuno, nemmeno Diego.
Raggiungo il bagno strisciando i piedi e con le spalle curve.
Quando arrivo in cucina Vlad e Valerio sono davanti ad un piatto di
uova e patate e una birra da mezzo litro in mano.
?ma come fate a bere ora?? chiedo ingenuamente.
?Per noi è già la seconda? mi rispondono ridendo.
Arriva anche Diego e dopo colazione anche il padre di Vlad su una
splendida Ural 125 e con un cesto pieno di arborelle pescate nel
torrente.
Noi intanto ci prepariamo per riprendere la strada.
Il momento dei saluti è sempre quello più difficile, ma a risolvere la
situazione arriva la vecchia madre di Vlad che ci bacia e benedice il
nostro viaggio passando le sue mani sulla nostra fronte.
Ora non può proprio succederci nulla di male

VOLGOGRAD, LA FIACCOLA E LA LIBERTA?

Lasciamo Astrakan con un abbraccio.
Il viaggio si compie nel momento in cui si riesce a non cedere alla
tentazione di fermarsi.
Risaliamo il Volga mentre il paesaggio esplode in una vegetazione
folta di boschi, prati, campi, dolci colline e specchi d?acqua che
riflettono il cielo terso di Russia.
Lungo la strada incontriamo parecchie sagome di auto della polizia in
compensato che dovrebbero fungere da deterrente per gli automobilisti
indisciplinati.
Durante il giorno è impossibile scambiarle per vere pattuglie delle
forze dell?ordine ma conoscendo il tasso alcoolico medio di questo
paese può essere che col buio possano funzionare.
Del resto qui la polizia è molto severa soprattutto con chi guida in
stato di ebrezza.
Raggiungiamo Volgograd da nord dove si trova la centrale idroelettrica
di cui attraversiamo lo sbarramento sul Volga, una costruzione
imponente con una vertiginosa caduta delle acque che muovono le pale
delle enormi turbine!
Non facciamo in tempo ad entrare in città che la sua storia recente ci
esplode in faccia come una bomba.
Ci troviamo davanti la statua che rappresenta la Madre Russia, la
patria che chiama! Raffigura una donna con una spada in mano intenta a
sferrare il colpo! Con il volto fiero è la bocca aperta da cui esce
l?urlo della liberazione. Il seno procace e le estremità potenti sono
simbolo di fertilità e laboriosità.
Costruita negli anni sessanta è alta 52 metri ed è costruita sulla
sommità della collina ?Mamayev Kurgan? che la rende visibile da ogni
parte della città.
Un motto famoso dice che il punto più alto della Russia è proprio la
sommità di questa collina.
Ci portiamo ai suoi piedi dove sorge il mausoleo in memoria dei caduti
nell?assedio di Stalingrado da parte dell?esercito nazista.
Una grossa mano di marmo tiene stretta una fiaccola sempre accesa
sorvegliata costantemente dal picchetto d?onore.
La battaglia di Stalingrado durò dal 21 Agosto del 1942 al 2 Febbraio
del 1943 e 2.000.000 di soldati tra quelli dell?Asse e quelli
Sovietici sono stati uccisi, feriti o catturati e sono 40.000 le
vittime tra i civili.
La città di Stalingrado fu distrutta quasi completamente e si
combatteva di quartiere in quartiere, di casa in casa.
Sui muri delle case in macerie si sono trovate le scritte dei soldati
sovietici : ?Muoio, ma non mi arrendo!?.
La ricostruzione della città cominciò subito, non appena le truppe
tedesche furono messe in fuga.
Quando Krusciov iniziò la politica di destalinizzazione cambiò il nome
della città da Stalingrado a Volgograd. Ma per la gente Stalingrado
ha un potere evocativo che non si affievolisce negli anni e sono molte
le iniziative che tendono a ripristinare lo storico nome.
Sulla scalinata che porta al mausoleo sono riprodotti i suoni e le
voci della battaglia.
Nel mausoleo invece una musica solenne scandisce i minuti mentre sulle
pareti bandiere listate a lutto riportano i nomi dei caduti, uno per
uno, in ordine alfabetico.
Un brivido percorre la schiena dalla testa ai piedi lungo tutto il percorso.
Il pomeriggio vola via insieme alle poche nuvole multiformi che
galleggiano sull?orizzonte. E? il momento di cercare una sistemazione
e una ragazza ci consiglia il Turist hotel costruito nei pressi della
Mamayev Kurgan proprio per accogliere i molti visitatori. E? una
vecchia costruzione in stile sovietico dai prezzi accessibili.
Dal letto riusciamo a percepire la vita palpitante di questa città che
si estende per 70 chilometri.
Ai piedi della nostra finestra scorre il Volga, lento e impassibile,
ma si possono sentire le acciaierie, i cantieri navali e le raffinerie
in continua attività, giorno e notte.

Alberto e Diego

volgograd

ASTRAKAN, il caso, il caos e l?amicizia.

Arrivati in città ci dirigiamo verso il centro in cerca di una banca
per capire se è davvero così impossibile cambiare i Tenghe.
La ragazza dello sportello ci indica la sede centrale come unico luogo
dove poter effettuare l?operazione.
Nel frattempo scopriamo che i 5000 rubli regalatici da Victor
equivalgono ad una banconota da 200 euro!
Usciamo sul piazzale antistante per fare due chiacchiere con l?usciere
a cui offriamo una sigaretta e notiamo un?auto fermarsi dalla quale
scende un ragazzo giovane i cui tratti somatici sono quelli tipici
russi, con gli occhi chiari, biondissimo e gli zigomi leggermente
allargati.
E? evidentemente incuriosito ed attratto dalle nostre moto.
Si avvicina e si presenta ?My name is Andrei-.
Ha una passione particolare per le moto e gli è già capitato di
incontrare viaggiatori intenti a condurre la propria due ruote per le
mete più disparate!
Ci racconta di due centauri tedeschi, padre e figlio, in giro per il
mondo e che lui aveva ospitato. Non ci mette molto a proporci di
sistemarci a casa sua.
Noi ovviamente essendo appena giunti in città non abbiamo avuto il
tempo di guardarci intorno.
-Is a real pleasure for us! ? gli rispondiamo che è un vero piacere per noi.
Lo seguiamo per le vie di questa città fondata nel XIII secolo dai
Tartari sul fiume Volga.
Passiamo davanti alla famosa fortezza di Svjapipettazsk costruita da
Ivan il terribile per protrarre l?assedio alla città.
Il passato si fonde coi segni della più recente storia legata
all?Unione Sovietica e il fascino di questi luoghi ci ha già
conquistati.
La macchina devia in una via sterrata e polverosa dove sono situati
alcuni box tra cui anche quello di Andrei in cui ci fa depositare le
moto.
La casa di Andrei si trova in un condominio destinato ai professori
universitari. Sua madre insegna inglese, cosa che spiega la sua
abilità in questa lingua.
E? un appartamento piccolo, formato da una sala in cui lui dorme col
fratellino e una stanza con angolo cottura dove dormono i suoi
genitori. Il resto della famiglia ora è in vacanza dalla nonna in
Ucraina.
Poi c?è il bagno con la vasca e il lavandino e quello col gabinetto.
Le stanze sono in preda al caos dove si mischiano i vestiti in attesa
di essere lavati e quelli che aspettano il calore di un ferro per
riacquistare l?aspetto ordinato di un tempo.
La cucina è invasa dalle stoviglie che testimoniano cene frugali e routine.
Andrei ha 21 anni e ha militato nella polizia nel campo dei crimini
informatici durante la leva, mentre adesso è un abile idraulico anche
se evidentemente non è ossessionato dall?ordine, ma d?altra parte alla
sua età non è stata la preoccupazione principale neanche per noi.
Per lavarci possiamo decidere se usare la vasca in casa o la doccia
condominiale.
Quest?ultima opzione accende la nostra curiosità e armati di shampoo e
asciugamani scendiamo le scale fino al seminterrato dove si trova un
locale piastrellato coi tubi a vista ma comunque è uno di quei luoghi
che suonano familiari e che hanno un forte potere evocativo.
In Russia infatti viene largamente utilizzato il teleriscaldamento e
la città è tutta percorsa dai tubi non interrati in cui scorre
l?acqua calda.
Sistemate le nostre cose usciamo per incontrare Ivan, un caro amico di
Andrei, studente di fisica e matematica, che ha fatto anche il
camionista negli Stati Uniti per 2 anni e parla l?inglese in modo
fluente.
Con lui c?è anche la sua fidanzata, una cantante, e tutti insieme
andiamo a mangiare in un ristorante tipico nel cuore storico della
città dove gustiamo deliziosi piatti a base di carne ed assaggiamo le
ottime birre russe.
Il tempo scorre veloce tra gli aneddoti e i racconti, le risate e le
molte domande che facciamo spinti dalla curiosità di conoscerci più a
fondo.
Nelle loro parole leggiamo tutto il potere deflagrante del
cambiamento, le speranze e le disillusioni.
Per l?indomani è pianificato un giro della città.
Nel pomeriggio abbiamo accompagnato Andrei a casa del suo capo e nella
nostra testa risuona ancora quel dialogo

Capo, t? informo che domani non mi presenterò al lavoro ma non posso
spiegarti il motivo perché non mi crederesti.
Prova lo stesso a spiegarti. ?
Ho incontrato due motociclisti italiani che hanno percorso molti
chilometri in Asia e voglio mostrare loro la nostra città.
Hai ragione, non ti credo. Comunque prendi pure il tuo giorno di permesso.-

LA CITTA? DEI TARTARI E IL TRAMONTO SUL VOLGA

La mattina comincia con una colazione all??americana? in una di quelle
catene che infestano il mondo come cavalieri dell?omologazione dei
sapori.
Ovviamente ci troviamo al terzo piano di un grande centro commerciale
che pullula di vita e merce.
Poi per la città incontriamo un monumento dedicato alla fine della
guerra nel 1945, quello ai caduti della marina che incrociano i loro
percorsi con le vecchie dacie di legno o il ponte in ferro battuto
dedicato agli innamorati che qui uniscono per sempre i loro destini
mettendo grossi lucchetti dalle svariate forme sui rami di un grosso
albero in bronzo.
La città è come un enorme mosaico in cui si interseca la storia degli
uomini e quella dello sviluppo del territorio.
Sin dal medioevo gli antichi chiamavano Rus? la terra che si
estendeva dal Baltico al Mar nero, la terra delle fortezze.
Questa è la terra delle steppe slave e le prime città come Novsgorod
Mosca e Kiev sorgevano tutte attorno a grandi fortificazioni per
difendersi da nemici potenti ed aggressivi che potevano vedere i
bastioni stagliarsi sull?orizzonte da grandi distanze.
Da ovest giungevano i Polacchi, i Lituani, gli Svedesi e i cavalieri
teutonici mentre da est l?orda mongolia che cercava di espandersi
nelle sterminate steppe.
Fu così che nacquero i Cremlini, fortificate sedi del potere politico
e religioso destinate a proteggere le popolazioni durante i lunghi
assedi.
Con Ivan il terribile la Russia divenne uno stato unico e venero
costruiti nuovi Cremlini per difendere i confini tra cui quello di
Astrakan, che ora abbiamo davanti con la sua imponenza sullo fondo
delle cupole d?oro della cattedrale ortodossa che si stagliano sul
cielo blu.

Sembra di poter sentire i suoni sferraglianti delle battaglie anche
perché lo spirito battagliero e fiero dei cosacchi scorre anche nelle
vene di Andrei ed Ivan che raccontano un?infinità di aneddoti sul
glorioso passato dell?esercito russo, da quello più remoto a quello
più recente.

Quando il cielo limpido si colora di oro, lilla, rosso i nostri amici
ci portano nella piazza dedicata a Pietro il Grande e che si affaccia
sul Volga.
Mentre ammiriamo la skyline della città al tramonto Ivan sparisce per
poi ricomparire dopo poco con una chitarra.
Seduti ai piedi del monumento salutiamo questa giornata accompagnando
la sua fine con le note di alcune canzoni italiane e russe.

Alberto e Diego

piazza pietro il grande

porto militare sul volga

Astrakan

con andrei ed ivan

andrei

verso astrakan

LA RUSSIA, LA CECENIA, LA MONGOLIA E FANTOZZI

Giunti al confine ci mettiamo in fila e compiliamo la dichiarazione di
dogana e i documenti necessari all?ufficio immigrazione.
Dall?automobile dietro di noi esce un russo che ci chiede se siamo italiani.
Ha riconosciuto le targhe delle nostre moto.
Ci racconta che suo padre ha combattuto in Italia durante la seconda
guerra mondiale e che fu aiutato dai partigiani grazie ai quali
riuscì a fare ritorno in patria.
Da allora anche lui sente di avere un legame affettivo col nostro paese.
Ma rimaniamo realmente basiti quando tra le altre cose che conosce
dell?Italia cita Fantozzi!
Ne conosce tutte le vicissitudini e gli episodi più divertenti, unica
differenza è che nella versione russa la moglie Pina prende il nome di
Magda!
Tra una risata e l?altra trova anche il tempo di regalarci un melone.

Mentre attendiamo i tempi della burocrazia scambiamo consigli sul
percorso con alcuni equipaggi del mongol rally diretti verso est.
In questa occasione conosciamo Victor, un omone ceceno dagli occhi
scuri e profondi.
Per lavoro fa avanti e indietro dal Kazakistan e conosce perfettamente
le ?direzioni? da prendere in questo paese.
Ascolta le nostre indicazioni e annuisce quando diamo dei consigli.
Poi si avvicina alle nostre moto e guarda la riproduzione del percorso
sulla borsa laterale della moto.
Quando alza lo sguardo mi sorride con un?espressione di divertita
sorpresa e di ammirazione.
Intanto le pratiche vanno avanti e per entrare in Russia dobbiamo
pagare un?assicurazione RC temporanea ma non accettano la moneta kazaka.
Noi abbiamo solo quella.
Anche Victor è meravigliato che non ci fossimo procurati i Rubli
necessari per l?attraversamento.
Allo sportello capita la nostra situazione decidono di accettare i
Tenghe, unica valuta in nostro possesso ma ci dicono che in Russia non
riusciremo a trovare un posto dove cambiarli.
Victor si avvicina e ? Quando avete passato il confine fermatevi ad
aspettarmi che ve li cambio io.
1 rublo per 5 tenghe, tanto io vengo spesso da queste parti- ci dice a
bassa voce.
Io e Diego lo ringraziamo. Sappiamo che il cambio non sarà favorevole
ma davanti alla prospettiva di tenersi una moneta che forse non
useremo mai più nella vita accettiamo di buon grado
- Spassiba Victor-.
Finalmente dopo il controllo del nostro bagaglio e delle moto entriamo
in Russia!!
Victor è dietro di noi. Percorriamo qualche kilometro e ci fermiamo a
bordo strada.
Lui ci porge una banconota da 5000 rubli e mentre Diego gli sta
consegnando i nostri soldi kazaki lo blocca.
-No amico mio, non li voglio. Spero che facciate un buon viaggio!- e
mentre pronuncia queste parole abbraccia Diego con le sue braccia forti.
Io quasi non ho quasi il tempo di scendere dalla moto. Mi fa un cenno
di saluto e riparte.
Rimaniamo senza parole.
Non abbiamo la minima idea di quanto siano 5000 rubli ma anche se
fossero 5 euro è un gesto che ci spiazza e ci sorprende positivamente.
Ora siamo più tranquilli e possiamo fermarci a fare benzina.

La nostra meta ora è Astrakan, famosa città sul Volga.
Riprendiamo la strada e il paesaggio continua a mutare. Da questa
parte del confine le distese steppose si trasformano in campi e
cominciano a comparire numerosi corsi d?acqua e con loro la
vegetazione. Poi anche il terreno si muove, si solleva e compaiono
piccoli rilievi collinari.
Ormai sono le 14.00 e cominciamo ad avere fame ma sembra non esserci
neanche l?ombra di un centro abitato.
La strada è asfaltata, diventa più sinuosa e il paesaggio perde
l?aspetto selvaggio e diventa sempre più dolce, come in un dipinto, in
una fiaba.
Sono perso in questi pensieri e mi accorgo che Diego ha frenato e
messo la freccia.
Si è accorto di un piccolo locale con un?insegna quasi invisibile. E?
un caffè che però funge anche da market.
La ragazza al bancone è giovane, bellissima, ha ancora i tratti
asiatici delle popolazioni di origine mongola.
Ci offre Borsh e patate. Deliziose.
Mangiamo anche il melone che abbiamo ricevuto in dono al confine e
quando è il momento di pagare pensiamo ancora a Victor e alla sua
generosità!