NELLA DEPRESSIONE CASPICA

La mattina dopo Malik deve andare in ufficio e si presenta con camicia
e giacca, abbigliamento molto diverso rispetto alle missioni in
esterno nella steppa.
Andiamo a prendere le moto ed è impossibile pagare il parcheggio, cosa
che vuole fare lui assolutamente.
Poi, fatto il pieno, ci porta sulla strada verso Uralski.
-?Addio Malik, non ti dimenticheremo. Grazie di tutto?.
-?Tra amici non esiste la parola grazie?.

TRA LE BIANCHE NUVOLE
Usciti dalla città la vegetazione lentamente scompare e torna a
comparire la steppa.
In alcuni punti la strada è piena di buche e dossi, in altri troviamo
sbarramenti per lavori in corso e siamo costretti a deviare sulle
piste parallele.
In alcune di queste ci troviamo immersi in una sabbia finissima bianca
che sembra quasi talco.

A volte i camion sollevano una densa nuvola di polvere che ci
impedisce di vedere la strada.

Gradualmente il paesaggio cambia e la vegetazione torna a dominare la
scena, segno che siamo in prossimità del fiume Ural.
Siamo quasi arrivati ma decidiamo di non entrare in città e di dormire
all?aperto.
Montiamo il campo ai margini di un piccolo bosco dove riusciamo a
raccogliere della legna e ad accendere un fuoco grazie al quale ci
prepariamo una bella zuppa che arricchiamo coi noodles liofilizzati
comprati in Pakistan prima di affrontare i 4000m del Karakorum.
Unico inconveniente della vegetazione e del fiume sono le
fastidiosissime zanzare che ci danno un po? di tregua quando scende la
notte.

BLOCCATI NELLA DEPRESSIONE.
Ci svegliamo presto per affrontare i 400 km che ci separano dalla
città di Atyrau sul delta del Volga per quella che sarà la nostra
ultima tappa in questo sterminato paese.
Stiamo entrando nella depressione Uralo-Caspica e raggiungeremo una
quota di ?28 metri!
La strada è tutta dritta e si perde nell?orizzonte che ci appare come
una linea irraggiungibile, immobile, sempre un passo più avanti come
in un miraggio.

Improvvisamente qualcosa attira la mia attenzione rompendo la
monotonia del paesaggio.
Non è niente di buono. Non riesco a mettere a fuoco ma c?è qualcosa
che non funziona.
Attivo tutti i miei sensi ed ecco la risposta.
Il problema sta nel suono emesso dal motore della mia moto.
Quel canto melodioso che mi ha accompagnato per più di 17.000 km ora
è adombrato da un accento scuro.
Non finisco di fare questa considerazione che il motore comincia a
girare ad intermittenza come se stesse per finire la benzina.
Eppure è impossibile perché ho riempito il serbatoio prima di mettermi
in marcia e anche se il mio carburatore continua a perdere benzina
dallo sfiato il numero di chilometri percorsi non giustificherebbe la
mancanza di carburante.
Ma la moto perde colpi e continua a singhiozzare!
-?Dai amore, non mollarmi adesso, non qui?.?.
Invece sono fermo. Il serbatoio è pieno a metà ma provo comunque ad
aprire il rubinetto di quello accessorio.
Niente, non ne vuole sapere.
Mi guardo intorno?il nulla.
Non incontriamo un cartello da molto tempo e non sappiamo quanto disti
il prossimo centro abitato.
Fa caldo e l?acqua nelle borracce è bollente.
Diego prova a spingermi per vedere se riusciamo a far ripartire la moto.
Nulla.
Il problema è il carburatore ma qui è impossibile lavorare dobbiamo
cercare di raggiungere un centro abitato.
Per la seconda volta il mio compagno di viaggio si cimenta in quella
che ormai soprannomina la ?tecnica pakistana?: punta il suo piede su
una delle mie borse laterali e mi spinge.
Poco dopo incontriamo un cartello che indica la prossima stazione di
rifornimento: 43 km !!
Come se non bastasse si alza un vento deciso che con le sue raffiche
che giungono laterali rende più difficoltosa la manovra di spinta.
Cerco di tenere la moto dritta e di trovare l?inclinazione giusta per
agevolare Diego cosa che non sempre mi riesce e lo capisco perché lo
sento imprecare mentre mi urla le indicazioni.
Finalmente raggiungiamo il centro abitato, guardo il contachilometri
parziale e comunico a Diego che mi ha spinto per ben 50 chilometri!
Non abbiamo raggiunto un vero e proprio paese, ma c?è un gruppo di
case sulla strada tra cui una taverna ed un distributore.
Ci guardiamo e scegliamo senza indugio la taverna. Impossibile
lavorare assetati ed affamati.
E? un posto piccolissimo con alcuni tavoli in legno coperti da
tovagliette cerate su cui sono appoggiati dei fogli di carta con
qualche riga stampata che scopriremo essere i menù.
La scarsità di pietanze non ci preoccupa anche perché ora abbiamo in
mano una bottiglia di Baltica gelata, la squisita birra russa, che
cominciamo a sorseggiare lasciandoci rinfrescare la gola secca e
assaporando il retrogusto amaro dell?orzo fermentato.
Ma mentre siamo nel pieno del piacere si apre la porta ed entra un poliziotto.
Si dirige verso il nostro tavolo e ci chiede se le moto parcheggiate
fuori sono le nostre.
Io e Diego ci scambiamo un?occhiata soffermandoci sull?abbigliamento
che non lascia libertà interpretative; poi ci guardiamo intorno e ci
rendiamo conto di essere gli unici clienti nel locale; rivolgendoci al
pubblico ufficiale rispondiamo ?si, le moto sono nostre?.
Lui indicando le birre ci dice ? lo sapete che ci sono multe salate
per chi guida in stato di ebbrezza??.
Siamo troppo stanchi anche per ridere: ? Adesso non stiamo guidando e
dopo dobbiamo lavorare sulla moto blu che è rotta. Anche volendo non
potremmo andarcene di qui?.
Lui ci guarda storto ed è evidente che non crede a una parola di
quello che stiamo dicendo.
Sappiamo che la polizia kazaka spesso e volentieri guadagna un po? di
soldi facendosi pagare dai malcapitati fermati per ogni tipo di
infrazione. Non avremmo immaginato però di poter ricevere
un?intimidazione ?preventiva? in un posto nel bel mezzo del nulla.

Quando usciamo sentiamo subito la morsa del caldo fare presa sulle
nostre teste e in controluce una macchina della polizia appollaiata
sulla strada.
Cerchiamo di metterci al riparo dal sole e mettiamo le moto in un
piccolo cono d?ombra sul lato est della casa.
La decisione è presa! Dobbiamo smontare il carburatore e cercare di
sistemare la faccenda una volta per tutte.
Ci spogliamo dai pesanti vestiti tecnici per muoverci più agevolmente
e sopportare meglio il caldo torrido.
Con calma iniziamo a liberare la via verso il carburatore che si può
paragonare al cuore della moto.
Prendo la telecamera per fissare questa scena incredibile.
Siamo in mutande, nel bel mezzo del nulla, riparati in uno spicchio
d?ombra largo un metro scarso seduti su un telo di nylon blu e Diego
indossa due guanti di lattice verdi da chirurgo e come Barnard
affronta un difficilissimo intervento a cuore aperto in un territorio
sperduto e lontano da ogni tecnologia.
?Forse se allungassimo di qualche millimetro il tuttopieno riusciremo
a far chiudere il galleggiante? sentenzia il grande Diego. E? l?unica
spiegazione plausibile.
Ma come fare e cosa usare?
Organizziamo un brain storming in cui ognuno di noi due dice tutto
quello che gli passa per la mente.
Ma nessuna delle ipotesi è realizzabile.
Poi vedo negli occhi di Diego accendersi quella lucina che ormai sono
abituato a cogliere e che più di una volta ci ha tirato fuori dai guai
in questo viaggio.
?Il mio capo prima della partenza mi ha regalato una guaina isolante
termo restringente? dice mentre rovista nelle borse laterali.
?eureka!? subito dopo.
Taglia mezzo centimetro di questo tubicino azzurro e lo appone
sull?apice del tuttopieno all?interno della vaschetta del carburatore.
Poi lo riscalda con l?accendino e il gioco è fatto.
?Calza perfettamente!!? esultiamo.
In pochi minuti rimontiamo il carburatore e proviamo ad accendere il motore.
Una favola! Torna a cantare come prima.
Guardiamo lo sfiato?neanche una goccia, non perde più!
Ci abbracciamo dalla gioia.
Mentre ci rivestiamo notiamo che il poliziotto è sparito. Da queste
parti non passa nessuno e si sarà stufato di aspettarci. Speriamo di
non incontrarlo più avanti.
Riprendiamo la strada per la città.
Atyrau è una città europea a tutti gli effetti.
I giacimenti petroliferi sul Caspio hanno portato qui molte compagnie
occidentali tra cui anche l?ENI.
In città infatti sentiamo parlare anche la nostra lingua.
La città è illuminata, ci sono molti grattacieli e anche un aeroporto.
In centro attraversiamo il famoso ponte che da queste parti divide
l?Europa dall?Asia.
E? l?Ural che viene considerato il confine geografico tra i due continenti.
E? come se nella parte meridionale del nostro emisfero questo confine
passasse per Teheran (a nord è molto più spostato verso est).
Dopo qualche giro a vuoto siamo costretti ad alloggiare in un hotel
dai prezzi occidentali.
La città, il suo caos, le luci e i prezzi, senza contare quel cartello
che diceva ?europe? ci lasciano straniti.
I luoghi sperduti da cui veniamo ci tenevano ancora lontani dall?idea
del ?rientro?. Dall?altra guardando la cartina la Russia è a un passo
da noi e i chilometri da percorrere non sono poi molti (considerando
quelli fatti per giungere fino a qui).
Avremmo voglia di girare Atyrau e conoscere le sue mille
contraddizioni ma la stanchezza ha la meglio su di noi.
Buona notte.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho sempre creduto che i ponti unissero due rive opposte... ora scopro che il ponte dell'Ural divide l'oriente dall'occidente!!!!
Accidenti!!!!! Ecco perchè non li capiamo 'sti occhi a mandorla...
:-) :-P
Ditemi che per Natale ci regalate il finale... vi prego...vi prego!!!
Non sto più nella pelle...
anzi diciamo che mi sono mangiata la pelle (da lupo qual sono, mica posso mangiarmi le unghie)

Anonimo ha detto...

Hello my darling friends, Malik from KAZAKHSAN AKTOBE